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Metaverso, è possibile averlo in realtà aumentata?

Aggiornamento: 24 gen 2022

Una soluzione più pratica per l'utilizzo nella vita di tutti i giorni senza che ci isoli dalla realtà.


Mark Zuckerberg lo scorso ottobre ha mostrato al mondo la sua visione di metaverso.

Ad un certo punto illustra perfettamente cosa non torna nel mondo virtuale e immersivo che Facebook, alias Meta, sta progettando.

Durante la presentazione compare un uomo che mettendo un paio di occhiali viene proiettato nel metaverso: davanti a lui compare un computer virtuale, l’appartamento cambia sembianze trasformandosi in un ufficio e gli avatar dei colleghi gli passano davanti salutandolo.


Tutto ciò però non è una rappresentazione realistica (e nemmeno possibile) del metaverso che sarà. Prima di tutto, per entrare in questo mondo virtuale non basta inforcare un paio di normali occhiali, ma è necessario indossare un pesante casco per la realtà virtuale che ci estranea da tutto ciò che ci circonda.


In secondo luogo, i colleghi non potrebbero mai passare davanti a noi salutandoci: essendo anche loro, nella realtà, seduti alla loro postazione – con addosso un visore che impedisce di guardarsi attorno – muoversi fisicamente nel metaverso significherebbe andarsi a schiantare contro il primo tavolo o sgabello presente nella nostra vera casa.


Un ufficio nel metaverso avrebbe quindi, più probabilmente, le tristi sembianze di un ambiente in cui gli avatar dei nostri colleghi sono seduti quasi immobili alle loro postazioni, scomparendo ogni volta che si devono allontanare per fare qualcosa nel mondo reale (pausa caffè, aprire la porta, andare in bagno o qualunque altra cosa). Come sa chiunque abbia provato la realtà virtuale, a meno di non trovarsi in un enorme giardino privato, l’unico modo per muoversi in questi ambienti digitali è attraverso un joypad: proprio come in un normale videogioco.


Vi sembra una prospettiva affascinante quella di salutare gli avatar dei vostri colleghi muovendo il vostro alter ego digitale in un ufficio virtuale usando un joypad, mentre nella realtà siete inchiodati alla scrivania senza poter nemmeno vedere il cane che si aggira per casa o l’arredamento del vostro studio domestico? La sensazione di disagio che tutto ciò potrebbe creare è anche fisica.


Per quanto l’esperienza sia immersiva, anche nei più coinvolgenti videogiochi siamo sempre consapevoli di essere nel nostro soggiorno, anche mentre nella realtà virtuale scappiamo dagli zombie in un cimitero o voliamo nei cieli di New York. Il cervello viene solo parzialmente ingannato dall’immersione virtuale, perché la nostra presenza fisica nel mondo reale lo costringe a creare i due modelli di cui parla Rosenberg.

È per questa ragione che la realtà virtuale – una tecnologia che ormai esiste da più di 30 anni – non è mai riuscita a sfondare e anche le ultime incarnazioni non hanno raggiunto un significativo successo commerciale.


Nonostante Mark Zuckerberg abbia mostrato al mondo una visione digitale del futuro che probabilmente non si realizzerà mai (non almeno nei termini immaginati nella famosa presentazione), il fondatore di Facebook ha comunque intuito un elemento di fondamentale importanza: il modo in cui oggi interagiamo con internet – tramite smartphone e computer – non è adatto a un mondo in cui, ormai, online e offline sono fusi


Il mondo fisico e quello digitale sono ormai talmente intrecciati che ha poco senso continuare a farne esperienza per il tramite di uno schermo. Come direbbero gli inglesi, non è un’esperienza abbastanza seamless: priva di frizioni, fluida, senza soluzione di continuità. L’isolamento dal mondo causato dalla realtà virtuale non sarà l’ideale, ma non lo è nemmeno camminare per strada con la testa sempre chinata sullo smartphone (oltre a essere causa di incidenti di ogni tipo).


La realtà aumentata


È qui che entra in gioco un’altra tecnologia di cui si è parlato moltissimo: la realtà aumentata. Per quanto venga spesso associata alla realtà virtuale, questa innovazione è per molti versi antitetica. Se la realtà virtuale ci fa immergere completamente in un mondo digitale, quella aumentata sovrappone invece elementi digitali al mondo fisico.


Per esempio, invece di camminare alternando lo sguardo dalla strada alle indicazioni di Google Maps sullo smartphone, con un visore in realtà aumentata è possibile vedere le indicazioni digitali sovrapposte direttamente sull’asfalto. Allo stesso modo, è possibile far comparire in sovra-impressione le informazioni di un monumento o leggere le notifiche dei social network senza distogliere lo sguardo da ciò che ci circonda.


A differenza di quanto avviene con la realtà virtuale, quindi, “tutti i segnali sensoriali (vista, suono, tatto e movimento) alimentano nel nostro cervello un singolo modello mentale del mondo - scrive ancora Louis Rosenberg -. Con la realtà aumentata, ciò può essere ottenuto anche con una fedeltà visiva relativamente bassa, almeno finché gli elementi virtuali sono registrati spazialmente e temporalmente in modo convincente. Poiché il nostro senso della distanza è relativamente grossolano, non è difficile che ciò avvenga”.


Ma se la realtà aumentata è la vera next big thing tecnologica, perché fino a questo momento non ha avuto successo? I pionieristici Google Glass (lanciati già nel 2013), gli Hololens di Microsoft e perfino i Magic Leap One: tutti i più noti visori in realtà aumentata sono stati dei flop e hanno dovuto riparare su utilizzi professionali (cosa che Microsoft, in realtà, ha fatto fin dall’inizio). Per capire quali possano essere le ragioni, basta osservare la forma di un Magic Leap One: qualcuno sarebbe davvero disposto a girare per la città conciato in questa maniera?


A differenza della realtà virtuale, la realtà aumentata è infatti studiata per un costante utilizzo in mobilità, che sostituisca gradualmente lo smartphone. Nessuno sarà mai disposto a utilizzarla con costanza finché questa ci costringerà a conciarci come se fossimo dei cyborg.

Ed è proprio per questo che, alla luce dei già citati flop, altre aziende stanno procedendo in direzione contraria: non stanno cioè creando degli ingombranti visori in Ar(augmented reality) già dotati di tutte le funzionalità, ma stanno invece commercializzando dei dispositivi simili in tutto a un normale paio di occhiali, dotati però di qualche iniziale funzione smart.


I recenti Rayban Stories di FB si limitano a scattare foto, girare video, avere auricolari integrati e poco altro, gli Echo Frames di Amazon sono pensati soprattutto per dialogare con Alexa, mentre gli ultimi Spectacles di Snapchat sono i primi a integrare delle vere e proprie (per quanto basilari) funzionalità in realtà aumentata. Probabilmente, molti di questi prodotti si riveleranno un fallimento commerciale. Il vero obiettivo, per il momento, potrebbe però essere soprattutto quello di farci abituare a questi smart glass, integrando le funzioni più evolute mano a mano che la miniaturizzazione della tecnologia lo consente.


Se così fosse, il mondo del futuro potrebbe diventare sempre più simile a quanto immaginato dall’artista digitale Keiichi Matsuda: strade che segnalano digitalmente il passaggio delle automobili, autobus che indicano quando è giunta la nostra fermata, scaffali del supermercato che ci segnalano dove si trova ciò che cerchiamo e notifiche dei social network che compaiono costantemente in un angolo della nostra visuale.


Il vero metaverso, da questo punto di vista, non sarebbe più un ambiente che limita i nostri movimenti, ci aliena dal mondo fisico e ci costringe a interagire con degli avatar; ma il nostro solito mondo arricchito digitalmente. Alcune società stanno anche sperimentando dei capi di moda in realtà aumentata (per esempio, una giacca di pelle che viene visualizzata in fiamma da chiunque indossi un visore Ar) o le sue applicazioni per lo smart working (durante una riunione da remoto sarebbe per esempio possibile visualizzare l’ologramma di un collega invece che vedere il volto sullo schermo del computer). Tutto ciò pone ovviamente anche parecchi problemi, in termini di privacy, sorveglianza, raccolta dati, tracciamento di ogni nostro comportamento, costante reperibilità e altro ancora. Tutti temi che andrebbero (e saranno) approfonditi uno per uno. Rispetto però al metaverso immaginato da Zuckerberg – in cui siamo alienati dal mondo che ci circonda e passiamo le serate all’interno di case digitali circondati dagli avatar di amici e parenti – sembra comunque essere un grande passo avanti.




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